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Fondazione Monsignor Del-Pietro

Testo tratto dalla conferenza di Alberto Gandolla, in occasione dei 100 anni della nascita di mons. Del-Pietro, svolta a Faido il 28 maggio 2006

Premesse

Inizio con alcune brevi premesse; la prima è di carattere personale: io non ho conosciuto personalmente mons. Del-Pietro, come del resto tutte le persone che hanno incontrato il movimento cristiano-sociale negli ultimi 20 anni. La mia non è quindi una testimonianza diretta (vari dei presenti la potrebbero fare invece molto bene), ma un semplice tentativo di delineare la figura storica di Del Pietro nel contesto delle vicende ticinesi del periodo in cui visse, sapendo inoltre di non poter certo essere esaustivo e completo e tenendo appunto in conto la difficoltà di parlare di un personaggio che molti di voi, al contrario di me, hanno conosciuto  bene.

Oggi il sindacato è confrontato con  grossi cambiamenti economici, che stanno grandemente trasformando il mondo del lavoro. Io credo che cercare di riconsiderare Del-Pietro, a 20 anni della sua morte, può essere anche utile per una riflessione che il sindacato deve fare sulla sua storia, per meglio essere in grado di affrontare le nuove sfide.

Nell'archivio dell'Organizzazione Cristiano-Sociale è raccolto molto materiale di Del-Pietro, mentre la sua ricca biblioteca da un po' di tempo è stata portata alla Facoltà di Teologia di Lugano.  Ricordo che sulla vita del Monsignore esistono due ben fatte pubblicazioni, quella di Romano Broggini del 1979 e quella notevole di mons. Franco Biffi, svolta nel 1984 in occasione dell'assegnazione del premio Bea in memoria di Del-Pietro; da segnalare anche il profilo biografico, all'interno della pubblicazione Uomini Nostri  del 1989, steso da Antonio Gili, autore anche di altri importanti contributi sulla storia dell'OCST. La vita e le idee del sacerdote e segretario sindacale leventinese sono dunque ben conosciuti; meno studiati invece sono le sue opere e i suoi influssi sulla vita ticinese. Questo dipende anche dal fatto che la stessa storia sociale del nostro cantone nel corso del Novecento è in buona parte ancora da scrivere.

Spiego come intendo svolgere la mia relazione. Del-Pietro ha lavorato soprattutto nel campo sindacale, ma è stato molto attivo anche nel campo politico e in quello religioso; dopo una breve biografia cercherò dunque di illustrare la sua attività in questi tre settori (anche se questa divisione è un po' artificiale, confondendosi infatti spesso i problemi)

La sua vita in breve

Luigi Del-Pietro, terzogenito di otto figli, nasce a Calpiogna, in Leventina, il 1. luglio 1906 da Agata D'Alessandri e Atanasio Del-Pietro. Dopo le scuole elementari Luigi entra al Seminario minore di Pollegio per passare poi al Seminario maggiore di Lugano. E' ordinato sacerdote dal vescovo Bacciarini il 7 ottobre 1928, dopo che già in giugno era stato designato quale segretario cantonale dell'OCST; a questo scopo il giovanissimo sacerdote viene inviato per acquisire una formazione a Friborgo e a Lovanio, dove pur per breve tempo può studiare gli indispensabili elementi di economia politica e di sociologia di ispirazione cristiano-sociale. Il 1. settembre 1929 entra in carica come segretario cantonale dell'OCST, alla quale imprime ben presto una sua particolare fisionomia. Dotato di forte personalità,  capacità di lavoro e di organizzazione, si dedica senza riserve con un impegno da pioniere alla ricostruzione del movimento cristiano-sociale. Il suo carattere di combattente si forma negli anni Trenta, in lotta sia con gli ambienti di sinistra, che fino a quel punto avevano avuto in pratica il monopolio dei sindacati, che con gli ambienti di destra, in particolare con il padronato cattolico conservatore che mal vedeva un prete avanzare rivendicazioni sociali contro di esso. Personalità complessa, brillante giornalista e polemista prima su La Famiglia, poi  sul Lavoro (quando finalmente nel 1933 può riprendere le sue pubblicazioni)  e a volte sul Giornale del Popolo, nel dopoguerra Del-Pietro si afferma come un vero protagonista carismatico  nel campo  sociale, sindacale ed economico. Naturale dunque che sempre di più sia i  vescovi Jelmini e Martinoli che i dirigenti del partito di ispirazione cristiana lo chiamano  come consulente e collaboratore in occasione delle più importanti questioni nei rispettivi ambiti. Del-Pietro diventa membro di innumerevoli comitati e associazioni cantonali e federali, sempre portando la sua preziosa visione critica. Tra i principali riconoscimenti  religiosi ricordo il titolo di  Monsignore nel 1952, la sua partecipazione ai lavori del Concilio Vaticano Secondo (1962-65), la nomina di dottore Honoris Causa in Diritto del Lavoro all'università Lateranense nel 1972 e la nomina da parte del Papa Paolo VI quale Protonorario apostolico soprannumerario nel 1976.

Ammalato a partire dagli primi anni Settanta, Del-Pietro muore sul suo tavolo di lavoro il 29 agosto 1977, lasciando un grande vuoto nel Ticino civile e religioso.
Per finire questa breve prima parte biografica, riporto una constatazione fatta in occasione della commemorazione del 100.esimo anniversario della nascita di monsignor Angelo Jelmini, svolta nel 1993. Il compianto vescovo mons. Corecco parlò dei 32 anni del ministero di Jelmini, dal 1936 al 1968, definendo quel tempo come un periodo assai lungo, in cui avvennero dei veri cambiamenti epocali di trasformazione della nostra società. Questo  allora, a maggior ragione, è valido per Del-Pietro, il quale rimase ai vertici del sindacato dal 1929 al 1977, dunque per ben 48 anni, e visse il passaggio da una società tradizionale e ancora in buona parte rurale ad una società moderna e terziarizzata.


L'impegno sindacale

Ricordo anzitutto che in Ticino le prime organizzazioni agricole e operaie di ispirazione cristiano-sociali, le Leghe Operaie Cattoliche (LOC), sorgono nel 1902-1903, ma non riescono ad ottenere grande successo. L'Organizzazione Cristiano-Sociale Ticinese (OCST) sorge nel 1919 (fra due anni si potrà dunque festeggiarne l'80esimo compleanno...), dopo la prima guerra mondiale e dopo lo sciopero generale del novembre 1918, quando si sente l'esigenza di passare da un tipo di associazione mutualista a una vera organizzazione sindacale. Il nuovo sindacato però negli anni Venti non riesce a svilupparsi e sopravvive a stento; lo stesso Lavoro, nato nel 1920, alla fine del 1926 cessa la pubblicazione. Quando Del-Pietro, per decisione vescovile, nel 1929 prende in mano il sindacato, la situazione non può essere insomma peggiore: pochissimi aderenti, monopolio sindacale della Camera del Lavoro, incomprensione di molti cattolici tradizionalisti, scoppio della Grande Crisi (dopo un paio di mesi dall'assunzione del segretariato!). Del-Pietro inizia comunque subito con grande entusiasmo e un'attività frenetica: riunioni di propaganda con gli operai, conferenze (già nel febbraio 1930 organizza una "settimana sociale", cioè un ciclo di conferenze dedicato al tema "la questione sociale e il cristianesimo"), contatti con molte persone, richieste di sussidio, ecc. In quei primissimi anni l'attività di don Del Pietro è veramente impressionante, e svolta con pochissimi mezzi; nell'archivio dell'OCST ho trovato una lettera del 1934 indirizzata a sua zia, in cui scrive che il comitato cantonale lo ha finalmente autorizzato ad acquistare un'automobile; però i soldi sono pochi e allora le domanda un prestito di 2000 franchi... (ma, assicura, il Segretariato garantisce il rimborso integrale e i relativi interessi). 

Don Del-Pietro in quegli anni, di fronte alla crisi del liberalismo, alla  Grande Crisi economica e alla minaccia del comunismo e del socialismo, si entusiasma per il progetto corporativo, illustrato da papa Pio XI nell'enciclica Quadragesimo Anno del 1931 ma da lui già conosciuto fin dalla sua permanenza a Friborgo grazie alla sua amicizia con l'abate Savoy; nella Rerum Novarum del 1891 vi erano del resto degli spunti in questo senso. La corporazione consisteva in un ambizioso progetto di riforma sociale ed economica basato sulla volontà di ricostituire le professioni in un clima di collaborazione e pace sociale tra organizzazioni sindacali e padronali, che si sarebbero poi date delle istituzioni comuni. Questa idea, tipica della dottrina sociale cattolica di quel tempo, negli anni '20 e  negli anni '30 viene ripresa con una variante autoritaria di imposizione statale e di supremazia padronale dalle dittature fasciste e naziste. Del-Pietro ha dunque il difficile compito di difendere il suo modello di corporazione democratica - "il sindacato libero nella corporazione obbligatoria" - attaccato naturalmente dalla sinistra e anche dai gruppi di destra (famosa una polemica a proposito nel 1933 tra Il Lavoro  e Idea Nazionale, giornale degli ambienti filofascisti nostrani, tra Del-Pietro e Biucchi). L'abbandono dell'idea corporativa - ormai squalificata dal modello autoritario - da parte di don Del-Pietro avviene (senza particolari spiegazioni teoriche) alla fine della seconda guerra mondiale, anche se ancora per qualche anno persisteranno i riferimenti alla necessità di una ricostruzione delle professioni, o comunità professionale  (sul Lavoro   il motto "Per una Svizzera cristiana, federalista e corporatista", comparso nel 1939, resiste per 10 anni...).

Malgrado il suo entusiasmo per il progetto corporativo don Del-Pietro negli anni '30 è però realista al punto da conservare e sviluppare il modello sindacale puro. Anzi, rompendo con la tradizione precedente, inizia ad attuare anche degli importanti scioperi, alcuni dei quali diventano famosi (per es. quello degli elettricisti di Locarno nel 1935-36 o quello alla Società Elettrica Sopracenerina nel 1939) e pur mantenendo una netta opposizione di principio con i sindacati "rossi" a volte opera delle azioni comuni (per es. quella contro la riduzione dei salari del personale federale nel 1933). Nella dura polemica con i sindacati aderenti alla Camera del Lavoro, Del-Pietro in particolare si oppone alla tesi socialista per cui i cristiano-sociali sono nati per una volontà di dividere il movimento operaio e di operare in sola funzione antisocialista: in decine e decine di articoli e conferenze, ma soprattutto con la pratica sindacale stessa, riesce a dimostrare invece la funzione essenzialmente propositiva del suo movimento. Alla fine degli anni Trenta l'OCST raggiunge e per la prima volta supera il numero dei membri della Camera del Lavoro. Da ricordare che nel 1937 per iniziativa della Federazione degli Operai Metallurgici e Orologiai (FOMO), aderente all'Unione Sindacale Svizzera (USS), viene firmato il primo accordo della pace del lavoro, che diventa - soprattutto a partire dal dopoguerra -  la prassi del movimento sindacale svizzero; inoltre si diffondono sempre di più i contratti collettivi e le commissioni paritetiche. Questo  tipo di politica sindacale è da sempre sostenuto da Del-Pietro, mentre rappresenta una novità per la Camera del Lavoro.  

Allo scoppio della seconda guerra mondiale, in un momento quindi molto difficile, don Del-Pietro prende un'iniziativa intelligente e spregiudicata e domanda alla Camera del Lavoro di creare una sorta di alleanza tra i due sindacati "per meglio servire gli interessi della classe operaia", pur continuando a mantenere ben distinte le organizzazioni. Alla fine del 1940 nasce così la Comunità Sindacale Ticinese (CST), che pur tra alti e bassi, diventa un primo momento di stabile collaborazione intersindacale in vista del raggiungimento di alcuni obiettivi comuni. Nel 1944 il governo, a testimonianza del forte sviluppo dei cristiano-sociali, finalmente riconosce  ufficialmente l'OCST, che ottiene un sussidio cantonale e l'uguaglianza di trattamento con la Camera del Lavoro.

L'immediato dopoguerra costituisce un altro periodo delicato, per la necessità di recuperare i salari svalutati e di migliorare altre condizioni di lavoro. Don Del-Pietro in occasione del congresso sindacale del 1946 elabora le "Direttive di marcia", un notevole documento - definito da mons. Biffi una vera "magna charta" del sindacalismo cristiano-sociale - in cui analizza i nuovi bisogni del momento  ed avanza un insieme di proposte pratiche e di profonde riforme da perseguire. Riprende forte anche la concorrenzialità con i sindacati aderenti alla Camera del Lavoro e di nuovo si assiste anche a molte agitazioni e a importanti scioperi. Ricordo almeno quello dei falegnami del 1949, durato ben 3 mesi e coronato da un buon successo (nuovo contratto collettivo, miglioramenti salariali e introduzione degli assegni familiari, allora ancora una novità e sostenuti in quel momento solamente dai cristiano-sociali).

A partire dagli anni Cinquanta si assiste anche in Ticino al boom economico  che porta il nostro cantone nella modernità, pur con tutta una serie di problemi di dipendenza economica che purtroppo ben conosciamo. Il Ticino smette di essere un cantone esportatore di manodopera e si sviluppa una forte immigrazione di lavoratori esteri, mentre i ticinesi passano sempre di più al settore dei servizi. Tutto questo permette un certo miglioramento del livello di vita, mentre - sempre sotto la pressione del movimento dei lavoratori - inizia la costruzione dello Stato sociale. Per Del-Pietro diventa chiaro che è servendo l'etica, è promovendo la giustizia sociale, è mettendo l'uomo al centro dell'economia che si serve il progresso economico che ormai si sta diffondendo; il progresso sociale deve diventare il motore del progresso economico. Per il sindacato comunque gli importanti cambiamenti di quegli anni comportano concretamente nuovi problemi: da una parte gli impiegati (ticinesi) del terziario non si sindacalizzano facilmente,  come pure i lavoratori stranieri soprattutto all'inizio stanno spesso lontano dai sindacati. Don Del-Pietro ha il merito di capire questi nuovi tempi e si lancia in una campagna a favore della sindacalizzazione degli immigrati. Bisogna dire che questo fatto non era scontato: nell'immediato dopoguerra il sindacato aveva avuto un atteggiamento prudente, a volte quasi ostile, verso i lavoratori stranieri che  molti ticinesi vedevano come pericolosi concorrenti, disponibili a basse paghe. Del-Pietro invece, a differenza anche di qualche dirigente sindacale, accoglie con cordiale spirito cristiano questi nuovi lavoratori, per i quali domanda subito le stesse condizioni di lavoro degli indigeni. Negli anni Sessanta questa politica ha successo al  punto che da allora i membri stranieri del sindacato superano quelli svizzeri; l'OCST passa dai circa 10mila membri della metà degli anni '50 (quasi tutti svizzeri) ai 23700 del 1965 e ai 32300 del 1975; la proporzione, grazie soprattutto anche alla sindacalizzazione di molti frontalieri, è ormai quasi di due a uno. Ma non è certo per considerazioni di numero, bensì per piena solidarietà umana e cristiana che Del-Pietro si batte subito contro le minacce xenofobe di quegli anni, e favorisce molte istituzioni e una legislazioni a favore di queste persone (vi saranno anche grossi problemi, ricordo solo di sfuggita le delicate vicende legate alla questione INAM negli anni '60 e '70).

Oltre all'apertura di vari segretariati regionali, l'OCST inaugura o potenzia una serie di nuovi servizi e istituzioni: la cassa di assicurazione contro la disoccupazione, vari servizi assicurativi, alcuni centri di vacanza in montagna (il primo già a Corzoneso nel 1934) e al mare (il primo a Bordighera nel 1937), dei soggiorni di cura, la VIVAT, ecc.; e naturalmente la Cassa malati Cristiano-sociale. In fondo credo si possa dire che queste istituzioni, nella visione di Del-Pietro, sono le opere che danno corpo agli importanti principi di solidarietà, di sussidiarietà e di ricerca del bene comune, base della dottrina sociale della Chiesa. Nel 1971 vi è l'apertura della nuova Casa del Popolo in via Balestra, segno delle nuove dimensioni dell'Organizzazione.

Alla fine degli anni'60 e soprattutto all'inizio degli anni '70, intanto,   le questioni sindacali non sono più di regola i problemi di aumenti salariali ma soprattutto quelli legati all'estensione della sicurezza sociale e di diminuzione della durata del lavoro. Inizia la battaglia per una partecipazione dei lavoratori alle decisioni delle aziende e alle responsabilità economiche e sociali (nel 1969 Del-Pietro dice a proposito che fino ad allora in fondo si era fatto solo del "paleosindacalismo"...); iniziano nuovi problemi a livello sindacale generale. Si tratta delle prime avvisaglie di alcune grosse questioni che oggi sono più che mai attuali: la constatazione che il periodo di benessere non è perpetuo, l'automatizzazione crescente, l'introduzione delle prime nuove tecnologie, il forte sviluppo del settore terziario (restio in genere alla sindacalizzazione), ecc. Del-Pietro, ormai piuttosto anziano e con una salute non sempre buona, deve dedicare le ultime energie a questi problemi. L'ultimissima grave questione a cui si sta  dedicando al momento della morte improvvisa alla fine di agosto 1977 è quella riguardante la Monteforno, che come leventinese sente moltissimo: stava collaborando a cercare per quella importante ditta degli imprenditori ticinesi, convinto che questi avrebbero potuto avere a cuore le sorti  della fabbrica meglio degli industriali svizzero-tedeschi . Il resto di questa vicenda purtroppo lo conosciamo.

L'impegno politico

L'OCST fin dalla nascita  dichiara il suo riferimento di principio alla dottrina sociale della Chiesa; politicamente si afferma indipendente da legami organici con i partiti politici e lascia la piena libertà ai suoi soci di votare per chi preferisce. Però già subito, verso il 1920, due o tre suoi dirigenti si trovano a titolo personale impegnati in politica in Gran Consiglio nel Partito Conservatore Democratico (futuro PPD): addirittura nel 1921 Mansueto Pometta, presidente dei cristiano-sociali, si trova  a essere in governo. Nel 1922 si inaugura però la nuova "formula Cattori" nel Consiglio di Stato - che prevede un sistema proporzionale anche nel governo - e comincia l'alleanza strategica fra conservatori e socialisti: questo nuovo stato delle cose non è certo favorevole ai cristiano-sociali, che in pratica sono trascurati dal Partito di ispirazione cristiana per questioni di opportunismo (ricordo però anche il poco peso numerico del sindacato negli anni '20). La situazione cambia con Del-Pietro, che l'aria dell'impegno  politico l'aveva respirata anche in casa: se i primissimi anni li dedica alla ricostruzione stretta del sindacato, ben presto si convince che vi sono dei problemi riguardanti i lavoratori che  possono e devono essere risolti con l'ausilio della politica. Così l'assemblea cantonale del 13 maggio 1934, tenuta a Giubiasco, decide di giocare anche la carta della politica, accettando che dei sindacalisti, a titolo personale, si inseriscano nelle liste del Partito Conservatore Democratico (PCD). In effetti l'anno seguente Francesco Masina e Giovanni De-Giorgi sono eletti in Gran Consiglio,  diventando i primi capofila della corrente cristiano-sociale in seno al PCD. L'atmosfera politica cantonale è nel frattempo cambiata: finita l'alleanza con i socialisti i conservatori iniziano quella con i liberali e l'OCST può riprendere maggiore considerazione nelle fila del partito. Don Del-Pietro addirittura, nel 1938, per un certo momento si interessa alla possibilità di entrare lui stesso in Gran Consiglio (...o in governo) e ne domanda consiglio al vescovo;  questa possibilità viene poi abbandonata. Il sacerdote leventinese col tempo viene comunque sempre di più consultato dai dirigenti del partito, soprattutto per le questioni sociali e economiche e per le elaborazioni teoriche di documenti. Il rapporto tra la pattuglia dei cristiano-sociali  e il PCD, intanto, non è sempre dei più sereni, esistendo nel partito anche un'ala destra di persone ben profilate. In genere l'accordo è un po' il seguente: unanimità sulle questione di principio, mentre su quelle di tipo sociale i cristiano-sociali possono votare secondo una loro linea; la realtà è certo però più complessa di questo semplice schema.

Quali sono le idee politiche generali di don Del-Pietro? Sincero democratico e patriota, anche in politica cerca di ispirarsi alla dottrina sociale della Chiesa del suo tempo: totale opposizione al socialismo e al comunismo, contrario al liberismo economico e  contrario anche alle dittature di destra, pur essendo convinto dell'importanza della ricerca della collaborazione tra le classi sociali; spesso ripete che la paternità dei principi corporativi non spetta al fascismo (che li riprende in versione autoritaria) ma alla sociologica  cristiana-cattolica.
Durante la guerra l'ambiente cattolico opera una grande mobilitazione a favore dei rifugiati. Del-Pietro è in prima fila, e la Casa del Popolo diventa un luogo di incontro per tutta una serie di personaggi,  illustri e meno. Nel 1939 era riuscito anche a contattare don Sturzo, in esilio a Londra; l'illustre esule per quasi un anno e mezzo scrive circa un articolo al mese per il Lavoro.  Alla fine della guerra Del-Pietro è pure, assieme al vescovo Jelmini e ad altre persone dell'area cattolica, fra i sostenitori della generosisssima "Azione aiuto alle popolazioni dell'alta Italia", coordinata dalla Caritas diocesana (sorta nel 1942 e diretta da Francesco Masina).

Nell'immediato dopoguerra vi sono grosse novità in campo cantonale: nel 1947 inizia (e durerà ben vent'anni), in nome del laicismo, l'alleanza di sinistra fra socialisti e liberali; i conservatori vanno all'opposizione e viene eletto a sorpresa in governo Agostino Bernasconi, un cristiano-sociale definito da Del-Pietro in una lettera del 1949 esistente in archivio - il riferimento è a questioni politiche - "un poco il capolavoro della mia vita". In vista di queste importanti votazioni vi era stato un accordo fra Giuseppe Lepori e don Del-Pietro, nel quale veniva in pratica ufficializzata l'ala cristiano-sociale nel partito. Da notare che Del-Pietro aveva anche contribuito in grande parte alla stesura dei "Postulati sociali", un insieme di principi di carattere sociale che completavano il programma del Partito.   L'OCST diventa dunque in questo difficile periodo un vero punto di riferimento per tutto il PCD, e un serbatoio dove trovare nuove forze, anche se purtroppo già nel 1951 Bernasconi muore in un tragico incidente. Francesco Masina è eletto nello stesso anno al Consiglio Nazionale di Berna e vi rimane per due quadrienni, e in questo modo il sindacato si apre a problematiche federali; questa importante dimensione nazionale sarà poi più tardi seguita e approfondita dal lavoro a Berna compiuto dall'avvocato Camillo Jelmini (che presiederà l'Organizzazione dal 1987 al 1996). Angelo Pellegrini nel 1960 diventa consigliere di Stato, e vi rimane per otto anni.  Del-Pietro intanto con i suoi sindacalisti impegnati in politica cerca di stabilire anche formalmente dei rapporti chiari col PCD, stabilendo degli obiettivi da raggiungere in ogni legislatura. In pratica si costituisce internamente una "Commissione politica" dei cristiano-sociali, composta dagli eletti in Gran Consiglio, mentre Del-Pietro tiene un filo diretto col presidente del PDC.  Col suo carattere forte ha degli scontri con alcuni dirigenti del partito; d'altra parte è vero (è un tratto del suo carattere) che dopo  momenti di profondo litigio, passata la bufera, era anche disponibile a diventare amico della persona col quale aveva litigato (questo successe anche con vari imprenditori, coi quali magari dopo un duro sciopero allacciò poi cordiali legami). Il rapporto con Franco Maspoli, presidente del partito negli anni '50, è per molto tempo burrascoso, poi migliora; generalmente buono invece il suo rapporto con Giuseppe Lepori, che risale già agli inizi del suo segretariato sindacale.

Accennando all'impegno politico di Del-Pietro non posso non ricordare la sua lotta a favore dell'emancipazione sociale e politica delle lavoratrici, delle donne, iniziata già a partire dagli anni Trenta. Sono piuttosto noti i suoi dieci articoli intitolati "Lettere di Crispinilla", scritti sul Lavoro  dal giugno al novembre 1946, in occasione di una prima votazione nazionale sul diritto di voto femminile; il congresso, nel mese di ottobre,  non accetta però la risoluzione di Del-Pietro, che chiedeva di appoggiare esplicitamente il voto alle donne; allora il sacerdote ha uno dei suoi famosi scatti e arrabiatissimo... minaccia di dimettersi dal Lavoro ; poi  si riprende e - dopo la sconfitta nella votazione - afferma il dovere di una difesa ancora più energica dei diritti della donna.

Fra il 1956 e il 1958 intanto due importanti dibattiti interessano il cantone: la nuova legge scolastica (ne parlerò in seguito) e la creazione dell'azienda elettrica ticinese. Quest'ultima questione ruotava intorno al dibattito sul riscatto della Biaschina, per un possibile sfruttamento comune da parte  di vari partners tra cui lo Stato. Del-Pietro prende posizione a favore del diritto dello Stato di rivendicare lo sfruttamento delle acque, e dunque per la creazione dell'Azienda Elettrica Ticinese (AET), una posizione analoga a quella dei socialisti e che si scontra con una parte del mondo cattolico (tra cui don Leber e il Giornale del Popolo). In seguito, e fino alla sua scomparsa, diventa un apprezzato membro del Consiglio di amministrazione dell'AET. Da notare che il segretario sindacale viene chiamato progressivamente in moltissime commissioni, in cui porta la sua competenza e la serietà della sua documentazione; già alla fine degli anni '40 era entrato anche - caso singolare per un sacerdote - a far parte della direttiva del Partito Conservatore Democratico. Vi sono stati anche momenti duri e difficili; il riferimento principale è certo quello del "caso Pellegrini", quando al termine di una vera campagna di diffamazione politica, e anche umana, il valente consigliere di Stato già sindacalista è costretto a dimettersi (da notare che in seguito le accuse contro di lui si dimostreranno infondate) Il vento del '68 raggiunge, pur se più debole rispetto all'estero, anche il nostro paese. Mons. Del-Pietro, che pure quando ne reputa il caso non ha mai certo disdegnato alleanze e azioni comuni anche con le forze di sinistra, accoglie in genere con sospetto le critiche dei contestatori. Per esempio il documento politico del movimento giovanile del PCD del gennaio 1969, nel quale tra l'altro si propone di rinunciare a ogni riferimento al cristianesimo e alla dottrina sociale della Chiesa, vede Del-Pietro prendere una chiarissima posizione contraria.  In questo scontro politico-culturale il Monsignore non ha dubbi: il "progressismo" svincolato dai  saldi principi legati al magistero sociale non è un utile strumento del far politica.
L'ultimo accenno di questo punto sull'impegno politico di Del-Pietro riguarda il suo respiro internazionale. Pur approvando pienamente la neutralità svizzera, vedeva di buon occhio la costituzione del Mercato Comune Europeo e postulava l'entrata in esso della Confederazione, proprio per poter cooperare a una maggiore integrazione comunitaria continentale.

L'impegno nella Chiesa

La  vita di  Del-Pietro si snoda sotto quattro Papi (Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI) e tre vescovi (Bacciarini, Jelmini, Martinoli), ai quali dedica la più perfetta fedeltà che si possa immaginare; questo è il tratto saliente del suo impegno nella Chiesa. Giovanissimo, è spinto da mons. Bacciarini, all'interno del suo programma di costruzione di strutture a favore del mondo cattolico, ad abbracciare la via del sindacato. Del-Pietro prenderà questa missione molto seriamente, diventando quest'ultima per lui un inscindibile impegno  sindacale e di annuncio del cristianesimo ai lavoratori. Nel 1936 viene eletto vescovo mons. Jelmini. Ci si trova nella fase peggiore della crisi economica, la liquidità dell'OCST per far fronte alla Cassa disoccupazione scarseggia: Del-Pietro chiede allora un prestito di 20mila franchi al vescovo, che accetta (continuando subito una tradizione di aiuto vescovile diretto all'Organizzazione, iniziata con Bacciarini); inizia così, in un modo molto concreto, un rapporto che sarà tutto un crescendo. Infatti il nostro sacerdote leventinese sempre di più, soprattutto dopo la guerra, diventa per il vescovo un prezioso collaboratore e consigliere principalmente delle problematiche sociali ed economiche.  All'interno della Diocesi ticinese si verifica una ripartizione di competenze piuttosto rigida, guidata da tre sacerdoti: l'Azione Cattolica, cioè l'apostolato per i laici, con a capo don Leber (direttore anche del GdP); la Caritas, il settore caritativo, con a capo don Cortella (dopo i primissimi anni in cui la presidenza è stata di Masina) e infine l'OCST, il settore sociale-sindacale, con a capo il Nostro. Credo che manchi ancora un giudizio  su questa "divisione del lavoro" che, seppur efficiente, non sembra essere stata esente da lati deboli (per esempio: quale la reale collaborazione tra i tre dirigenti? Quale il coinvolgimento con altri sacerdoti e laici?).
Negli anni '50, periodo delicato per il nostro cantone, che entra in una fase di sviluppo economico mai conosciuto, si sviluppano alcuni importanti dibattiti anche nel mondo cattolico; inutile dire che Del-Pietro, con il suo carattere deciso e impetuoso, vi si lancia apertamente. Un primo dibattito degno di nota ruota intorno alla "questione degli intellettuali". Alla fine del 1956 sul Popolo e Libertà  esce un articolo, del prof. Gerardo Broggini, in cui, prendendo spunto da alcuni articoli apparsi sul GdP a proposito del riscatto delle acque della Biaschina, critica l'"anemicità" e l'"agonia intellettuale" del mondo cattolico ticinese. Del-Pietro reagisce vigorosamente sul GdP stesso, prendendo una posizione di netta difesa del cattolicesimo ticinese organizzato; il suo  tono è molto deciso (e probabilmente  qui i suoi articoli - e  riprendo un'espressione di mons. Biffi riferita però ad altri episodi - sono scritti con "una musica eseguita un'ottava sopra di quello che esigeva lo spartito"). Per un mesetto vi è un notevole  e duro scambio di opinioni - e altre persone tra cui Basilio Biucchi intervengono - sul ruolo degli intellettuali, del GdP e dell'Azione Cattolica nel contesto della società cattolica ticinese. Da notare che in una lettera esistente nell'archivio dell'OCST Del-Pietro afferma di essersi lanciato in questa difesa dietro richiesta del vescovo stesso.

Un dibattito ancora più importante nel mondo cattolico avviene però nei mesi seguenti a proposito della nuova Legge sulla scuola;  mons. Jelmini e anche i vertici del PDC inizialmente accettano, senza alcuna pubblica discussione e in nome della pace religiosa, i nuovi articoli sull'insegnamento religioso e e sulle scuole private. Temi delicati per il Ticino; e quel primo accordo con le forze laiche sembra proprio  implicare delle garanzie meno precise delle precedenti. A questo punto si accende subito un grosso dibattito: la Federazione Docenti Ticinesi e Lepontia sono apertamente contrari a questa impostazione e fra gli stessi sacerdoti una petizione critica, affinchè il Vescovo torni sui suoi passi,  ha successo. A difendere le posizioni del vescovo restano i tre Monsignori: Martinoli, vicario generale, Leber e  Del-Pietro, il quale da una parte cerca di dimostrare che in quel momento non si può ottenere di meglio e che l'essenziale del vecchio regolamento è mantenuto, e dall'altra aiuta personalmente il vescovo a redigere tutta una serie di memoriali sulla vicenda. La quale si conclude come sappiamo:  con amarezza per il vescovo, a cui il Vaticano stesso chiede di adoperarsi per migliori garanzie,  e finalmente con l'accordo dell'inizio del 1958, in cui i tre principali partiti, proprio per non turbare la pace religiosa, decidono di mantenere lo statu quo della legislazione precedente su quei due temi delicati. Tutta questa storia, ripensandoci, è un po' paradossale: sembrerebbe che la linea di una maggior fedeltà al rispetto delle precedenti prerogative  sia stata portata avanti soprattutto dalle forze "laiche" del cattolicesimo ticinese, appoggiate da molti sacerdoti, mentre il vescovo e i tre famosi Monsignori sarebbero stati più cedevoli. In verità è comunque significativa la scelta di Del-Pietro (lui poi così critico verso gli accomodamenti sulle questioni di principio!): preferisce senz'altro schierarsi con il vescovo -  pur su una materia  delicata e infida - che schierarsi dalla parte di quei cattolici che rivendicano una loro autonomia nelle scelte politiche. Negli anni seguenti si assiste poi a grandi cambiamenti all'interno del mondo cristiano ticinese e sempre di più, in genere, negli anni '60 e '70 il mondo politico e intellettuale cattolico - tra cui molte persone che avevano criticato il vescovo nell'"affare della legge scuola" - si disaffeziona velocemente a questi (e altri) temi della tradizione cattolica.

In occasione del Concilio Vaticano Secondo (1962-65), il vescovo Jelmini sceglie mons. Del-Pietro come uno dei suoi principali consiglieri, che inizia così a partecipare a molte commissioni preparatorie;  l'ormai non più giovane sacerdote leventinese ha l'onore di partecipare ad alcune sedute del Concilio, per il quale dà anche molto tempo (il fatto che stesse assente per alcune settimane di seguito non era certo.... indolore per i suoi collaboratori dell'OCST). Certo non deve essere stato sempre facile per Del-Pietro, formatosi negli anni Venti e Trenta, accettare le novità dell'"aggiornamento" del Vaticano Secondo, eppure ancora una volta riesce a ripartire e ad entusiasmarsi per i nuovi documenti pontifici. Partecipa pure in seguito, con il suo solito stile da protagonista, ad alcune delle nuove strutture diocesane del dopo Concilio, per esempio al Consiglio del Clero (dal 1967) e - col nuovo vescovo mons. Martinoli -  al Sinodo (dal '72 al '74). Scelto personalmente dal vescovo per il Sinodo diocesano, Del-Pietro diventa in particolare il consigliere di fiducia nelle delicate questioni che toccano il rapporto Stato - Chiesa (vedi per es. il dibattito sull'articolo primo della Costituzione cantonale). Di fronte alle contestazioni ecclesiali, tipiche di quegli anni, Mons. Del-Pietro assume una posizione critica, sempre fedele alla sua linea di assoluta ortodossia all'autorità vescovile e papale. Come già ricordato, gli ultimi anni della sua vita sono caratterizzati da numerose e importanti riconoscimenti ufficiali.

Per concludere

Finisco con alcune osservazioni che, come del resto tutta la mia esposizione, non hanno nessuna pretesa di essere complete o conclusive;  sarebbe anzi interessante un ulteriore lavoro che potesse approfondire alcune importanti questioni qui solo accennate.  Don Del-Pietro inizia, giovanissimo, come segretario di un sindacato che nel 1929 non arriva a 100 soci. In una decina di anni porta questo sindacato a diventare il più grande del Ticino, e per quasi mezzo secolo contribuisce fortemente al miglioramento della condizione dei lavoratori nel nostro cantone, diventando anche un importante dirigente sindacale a livello svizzero. La sua importanza cresce anche a livello politico, dove nel dopoguerra diventa molto ascoltato nel Partito Democratico Conservatore; in seguito, grazie alla sua partecipazione a numerosissime commissioni, la sua opinione è tenuta in considerazione anche dai politici degli altri partiti. In campo religioso da semplice sacerdote diventa uno dei principali consiglieri dei vescovi, prima nel campo sociale ed economico e poi anche in altri. Mons. Del-Pietro è insomma davvero uno dei principali protagonisti della storia contemporanea del Ticino. I suoi primi vent'anni di impegno sono un periodo in cui è soprattutto un pioniere, spesso un personaggio scomodo, di rottura; poi affermandosi, prendendo sempre più responsabilità e ricevendo molti riconoscimenti (anche dal mondo imprenditoriale) acquista un ruolo di vertice, alla ricerca di soluzioni concertate; e certamente come ogni uomo dotato di grande carisma e di forte carattere ha anche alcuni evidenti difetti. Anche uomo di potere alla fine, è stato detto da qualche critico. Certo, ma soprattutto nel senso positivo di aver cercato di conquistare spazio - di fronte ad altri poteri non certamente ben disposti - al suo movimento di lavoratori. Uomo di riflessione e soprattutto di azione, dotato di grande religiosità (molto affezionato, per esempio, al Monastero di Claro; ricorreva spesso alla preghiera delle Suore), gioca in un modo particolare ma totale la sua appartenenza alla Chiesa.  Nella sua vita l'ispirazione alla dottrina sociale della Chiesa diventa non già un riferimento formale ma una vera fonte di vita e di ispirazione. Come ben ha indicato mons. Biffi, in molti testi Del-Pietro si dimostra addirittura un presago e un anticipatore di ulteriori sviluppi del magistero sociale, in consonanza con molte intuizioni degli ultimi Papi. Se vi è la massima libertà nel ricercarne le forme concrete, per Del-Pietro - e qui concludo - i principi della dottrina sociale della Chiesa sono gli irrinunciabili criteri della riflessione e dell'azione sociale. Io credo che il nostro sindacato cristiano-sociale, se vuole confrontarsi con l'eredità ideale di mons. Del-Pietro, deve proprio cercare di approfondire l'attualità di questa questione.
 
 

Mons. Del  Pietro

Monsignor Luigi Del-Pietro (1906-1977)

Breve biografia di Fabrizio Panzera tratta dal Dizionario storico della Svizzera.