A cura di: Alberto Gandolla
Il Ticino all’inizio del Novecento
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Cento anni fa il nostro cantone è soprattutto agricolo, molte persone abitano ancora nelle campagne e nelle valli e vi è una forte emigrazione. E’ in ritardo rispetto al buon sviluppo industriale dei principali centri svizzeri e condivide piuttosto l’incerta e timida modernizzazione di altre regioni alpine simili, come il Vallese o la Valtellina. La costruzione della linea del San Gottardo, aperta nel 1882, accende molte speranze e infatti sorgono alcuni nuovi settori artigianali e industriali ed inizia anche il turismo.
Il Ticino, a lungo terra periferica ed emarginata, comincia lentamente a muoversi. L’emigrazione oltremare, forte nella seconda metà dell’Ottocento, diminuisce; nel cantone vi sono ormai molti lavoratori stranieri, ma ogni anni alcune migliaia di ticinesi, muratori e manovali, si recano ancora a “fare la stagione” nelle città della Svizzera interna. L’impatto della ferrovia è importante e lungo il suo asse inizia a formarsi una certa urbanizzazione. Si aprono alcune industrie a Bodio e Giornico, si sviluppano qualche fabbrica di tabacco, di alimentari, di abbigliamento, del legno; l’industria del granito per un po’ di tempo è importante. Nel 1902 il Ticino conta 154 fabbriche con circa 5000 operai. Nel 1910 nel cantone abitano 156mila persone, Lugano ha 15mila abitanti, i numerosi stranieri (44mila persone) sono italiani (41mila), le persone attive sono 80mila, così ripartite: 33mila nell’agricoltura, 25mila nei vari rami artigianali e nelle (ancora poche) industrie, 21 mila nei vari servizi. L’agricoltura è ormai in declino e negli anni Trenta sarà definitivamente sorpassata dal secondario e dai servizi.
Dal punto di vista politico il cantone conosce degli importanti cambiamenti. Nel corso dell’Ottocento le dure lotte tra conservatori e liberali avevano prodotto anche varie “rivoluzioni”, cioè bruschi cambiamenti di regimi. Il Consiglio Federale si preoccupa e infatti, dopo l’ultimo colpo di stato del 1890, quando i radicali rovesciano il governo conservatore, Berna impone che i ticinesi imparino a “governare insieme”. Comincia così un periodo di transizione, in cui i ticinesi devono imparare ad avere un governo misto, e subito dopo si applica un meccanismo elettorale di tipo proporzionale. Il cantone diventa così un pioniere del modello consociativo e in pochi anni si passa da un bipartitismo a un multipartitismo. Nel 1922 vi è una nuova forma di governo e con la “formula Cattori” si stabilisce che un partito non può avere la maggioranza assoluta in governo se non l’ha ottenuta nelle elezioni. La collaborazione diventa inevitabile e si forma un “governo di paese” formato da un conservatore, un agrario (fino al ’27, sarà poi sostituito da un conservatore), un socialista e due liberali all’opposizione. Questo nuovo governo deve affrontare i gravi problemi economici e sociali del dopoguerra.
La nascita e lo sviluppo dei primi sindacati in Ticino
L’economia rurale e il modo di vita a lungo pre-industriale del Ticino non favorisce certo la costituzione dei sindacati. Le prime piccole organizzazioni sono delle società o circoli operai a Bellinzona e a Lugano negli anni ’50 dell’Ottocento, basati sui principi democratici e su vaghi ideali di riforma sociale. Nel decennio seguente si formano delle società di mutuo soccorso fra i tipografi, i docenti, ecc.; segue poi la nascita di varie cooperative di consumo. La prima occasione di concentrazione operaia di rilievo si manifesta con la costruzione negli anni Settanta della ferrovia del San Gottardo, caratterizzata da condizioni lavorative molto difficili; gli operai sono soprattutto piemontesi, lombardi e veneti.
Durante questo periodo avvengono alcuni primi scioperi, svolti per protestare contro le basse paghe. I lavori della Gotthardbahn finiscono e di seguito iniziano i primi tentativi di formare delle organizzazioni operaie. Questi tentativi sono opera sia degli immigrati italiani che di migranti ticinesi, a contatto con realtà sociali più avanzate. L’ispirazione ideologica di queste associazioni è il socialismo, nelle sue varie forme - le menti organizzative sono i rifugiati politici, i socialisti in esilio - ma l’unità fra lavoratori ticinesi e italiani si dimostra difficile e infatti ben presto prendono forma delle distinte associazioni politiche: i primi tentativi di organizzare il Partito Socialista Ticinese (nasce poi nel 1900) e le sezioni del Partito Socialista Italiano in Svizzera.
Per quello che riguarda i sindacati, i primi sono quelli formati dalle professioni più specializzate, dai tipografi, dai postini e dai ferrovieri, e spesso mantengono una visione piuttosto corporativa, da “aristocrazia operaia”.
All’origine del movimento operaio organizzato si possono ritenere piuttosto i lavoratori della costruzione e gli scalpellini. La prima celebrazione della festa del lavoro, giornata di sciopero e propaganda per le otto ore lavorative, si tiene a Lugano il primo maggio 1891. Sono anni difficili: l’orario di lavoro è alto, le paghe basse, il padronato è normalmente molto ostile alle rivendicazioni operaie, usa l’intimidazione, la rappresaglia e in caso di agitazioni chiede anche l’aiuto militare; la manodopera femminile sfugge all’organizzazione e il lavoro minorile è di regola tollerato.
Nel 1902 si costituisce la Camera del lavoro (CdL), unione di varie sezioni sindacali già esistenti. Due anni dopo il Gran Consiglio elabora una Legge sul lavoro; la CdL viene riconosciuta, riceve un sussidio e l’incarico ufficiale di osservare e controllare le leggi e i regolamenti tramite un segretariato del lavoro. Così l’organismo sindacale è subito composto da due anime: quello rivendicativo, di lotta sociale ed economica per il promovimento dei lavoratori e quello dell’assistenza, di controllo, di pacificazione dei conflitti. Per il cartello sindacale di sinistra inizia così a cambiare il “ruolo” dello Stato: da espressione della borghesia viene considerato sempre di più come un ente al di sopra delle parti; la funzione arbitrale dello Stato sarà rafforzata nel 1918 con la creazione dell’Ufficio cantonale di conciliazione. Segretario sindacale è dal 1907 Guglielmo Canevascini, che nel 1922 diventerà il primo consigliere di Stato socialista. Inizia lentamente la lotta per cercare di passare dalla contrattazione individuale a quella collettiva, che possa assicurare anche il diritto per il sindacato si essere presente in fabbrica.
I lenti miglioramenti sociali sono interrotti nel 1914: il fallimento delle banche ticinesi trascinano nell’insolvenza le industrie, e lo scoppio della prima guerra mondiale inaugura un periodo molto difficile; il lavoro sindacale per vario tempo quasi si arresta.
La nascita del primo movimento sindacale cristiano-sociale
Nel 1891 papa Leone XIII pubblica l’enciclica Rerum Novarum, la prima indirizzata alla questione sociale. In Ticino, dove pure vi erano molte opere educative, di carità ed assistenziali legate all’iniziativa del mondo cattolico, l’appello ha poca eco: i dirigenti conservatori sono più preoccupati dalle questioni politiche, e del resto lo stesso sviluppo economico del cantone era appena gli inizi. Fu grazie al giornale Il Patriota Ticinese, apparso a Locarno dal 1894 al ’99 e diretto da Giuseppe Mondada, che il Ticino cattolico può conoscere i nuovi temi sociali del magistero della Chiesa e anche l’attività delle società cattoliche della Svizzera interna che si occupano di queste questioni.
Il vescovo mons. Molo a due riprese parla ufficialmente del problema sociale: nella lettera per la quaresima del 1897 e nella lettera pastorale del febbraio 1902. In esse vi è una dura condanna del socialismo e delle sue organizzazioni e, soprattutto nella seconda, vi è anche un richiamo alla costituzione positiva di associazioni cattoliche. L’appello è raccolto da alcuni giovani sacerdoti - don Luigi Simona (1874-1968), don Carlo Roggero (1868-193) - che, con altre persone, fondano nel 1902 a Locarno un Circolo di studi politico-sociali. Il circolo si interessa e partecipa alla vita sociale cantonale, ma ben presto entra in una crisi interna: don Simona si schiera a favore di un’organizzazione neutra e della collaborazione con la CdL e i socialisti, mentre don Roggero appoggia il progetto dell’episcopato svizzero, favorevole a un’impostazione autonoma e con un preciso riferimento alle idee sociali della Chiesa. Questo dibattito si svolge anche a livello nazionale: i nascenti sindacati cristiano-sociali (il primo era sorto nel 1899 a San Gallo) possono inserirsi negli organismi sindacali ufficialmente neutri, dal punto di vista politico e religioso - ma guidati da noti socialisti, spesso antireligiosi e anticattolici - dell’Unione Sindacale Svizzera (USS) o della CdL, o è meglio che diano vita a sindacati cattolici indipendenti? La tendenza vincente è quest’ultima, e del resto l’USS nel 1906 inserisce nei suoi statuti la “lotta di classe”.
L’anno seguente si costituisce la prima organizzazione mantello nazionale, la Federazione svizzera dei sindacati cristiano-sociali. Don Simona abbandona l’impegno sociale, mentre invece don Roggero si butta nel tentativo di dar vita ai primi sindacati cristiano-sociali.
A partire dal 1902-1903 nascono così in Ticino le prime Leghe Operaie Cattoliche (LOC). All’inizio sorgono fra gli scalpellini e muratori della Leventina, Riviera e Verzasca (la prima Lega stabile è quella degli scalpellini di Brione Verzasca del 1903), seguono altre attestate nel Locarnese e nel Piano di Magadino. Nel 1905 il movimento tiene la sua prima festa cantonale, inaugurando un bel vessillo, mentre l’anno dopo don Roggero apre a Locarno un primo segretariato stabile, chiamato Bureau Popolare, ed edita anche un bollettino, che l’anno seguente diventa La Gazzetta del Lavoratore. Il movimento leghista ha come scopo il miglioramento religioso, morale e materiale dei lavoratori e vuole soprattutto costituire un luogo di educazione alla fede cristiana per i cattolici che, nel mondo del lavoro, rischiano di perdere la loro religiosità o di essere attratti dalle accattivanti idee socialiste. Le preoccupazioni di carattere morale di fatto risultano prevalenti rispetto a quelle riguardanti le rivendicazioni sindacali. Oltre alle sezioni operaie maschili e femminili vi sono leghe agrarie e dal 1906 vi è l’attività di una Cassa di Mutuo soccorso, affiliata poi alla Cassa centrale cristiano-sociale svizzera. Restie a condurre agitazioni e scioperi, le LOC appoggiano le leggi di miglioramento sociale del tempo, ma non riescono veramente a diffondersi e non superano mai il mezzo migliaio di aderenti; non riusciranno mai ad ottenere dei sussidi pubblici. Il movimento operaio organizzato fino alla prima guerra mondiale è saldamente monopolizzato dalla CdL e dalle sue federazioni sindacali.
La nascita dell’OCST
La prima guerra mondiale costituisce un duro colpo allo sviluppo dei sindacati anche in Ticino. Solo nel 1916-17 si assiste a una ripresa dell’attività sindacale, legata alla volontà di opporsi al peggioramento della situazione alimentare e al rincaro crescente; riprendono le agitazioni operaie. Non è però tempo di azioni comuni: quando, per esempio, la LOC di Locarno organizza nel 1917 un comizio contro il rincaro e gli speculatori, i socialisti intervengono con veemenza accusandola di “copiare” la CdL per motivi di propaganda. La situazione sociale peggiora rapidamente e si inizia a parlare di “sciopero generale”. La Federazione cristiano-sociale svizzera lancia un appello preoccupato: occorrono certo decise riforme sociali, ma non lo sciopero generale e la rivoluzione (in Russia Lenin aveva appena preso il potere). A Lugano nell’estate del 1918 il malcontento popolare sfocia in un breve sciopero generale, portato avanti dalla CdL e dai socialisti, che spaventa molto gli ambienti borghesi e nazionali.
La Gazzetta del Lavoratore afferma la necessità di migliorare la condizione degli operai, ma non può accettare un metodo basato sulla lotta di classe. Nel novembre successivo vi è poi il grande sciopero generale nelle principali città svizzere, guidato da dirigenti dell’USS e del partito socialista; le rivendicazioni sono sociali e politiche, radicali ma non rivoluzionarie; i cristiano-sociali svizzeri, pur propugnando energiche riforme, si schierano contro lo sciopero, sentito come estremista nei metodi. Questi ultimi avvenimenti risultano traumatici anche per i cristiano-sociali ticinesi e rafforzano il convincimento che occorre passare da un movimento leghista solidaristico-mutualistico a un’organizzazione rivendicativa di carattere propriamente sindacale. Nei mesi seguenti si intensifica il dibattito interno, anche autocritico (si è tanto lavorato per il bene religioso, troppo poco per quello materiale): necessitano vere riforme sociali, la costituzione di sindacati professionali, è importante che i cattolici escano dai sindacati “rossi” e rimangano attaccati alla dottrina sociale della Chiesa, ecc.
Dopo vari incontri il 18 maggio 1919 a Bellinzona vi è un congresso generale di tutte le forze cristiano-sociali del cantone: LOC, gruppi locali già attivi – come quello di Bellinzona – sindacati in via di costituzione, ecc. . “Detta giornata dovrà segnare una data storica negli annali del nostro movimento”, viene indicato nella presentazione del congresso. Vi sono molti interventi, vi è un po’ di confusione terminologica (uno degli interventi inneggia alla lotta di classe basata sulla giustizia e carità, suscitando proteste fra i convenuti: quel termine lasciamolo ai socialisti!), alla fine vi è chiara la volontà di fare un salto di qualità e di costituire un nuovo sindacato unitario, mentre le LOC possono continuare ad esistere (le ultime si scioglieranno a metà degli anni Trenta).
Nasce così l’Organizzazione cristiano-sociale del canton Ticino, con Mario Ferretti come primo segretario provvisorio e Giuseppe Respini come primo provvisorio presidente del comitato cantonale. Nelle settimane successive la Gazzetta del lavoro con scritti soprattutto di don Roggero (il vero pioniere della prima fase del movimento cristiano-sociale in Ticino) cerca di precisare le linee direttive, come il nuovo sindacato non dipenda dall’Unione Popolare Cattolico (la futura Azione Cattolica), il fatto che sia autonoma dal Partito Conservatore, perché sia sbagliato definire “socialisti cristiani” i cristiano-sociali, ecc. Inizia la fondazione di primi piccoli sindacati edili, metallurgici, di scalpellini e anche femminili (operaie di fabbrica, sarte, impiegate e commesse,…).
La CdL segue con una certa preoccupazione questo nuovo attivismo e infatti in occasione di un comizio popolare indetto a Lugano il 14 settembre da parte dei cristiano-sociali vari aderenti socialisti e lo stesso Canevascini intervengono in forza, paralizzando l’incontro. Il 16 novembre vi è poi una prima importante assemblea dei delegati del nuovo movimento. Vengono approvati gli statuti sociali, è costituito un nuovo comitato con Nicola Locarnini come presidente, si conferma la nascita di un nuovo giornale, Il Lavoro, che sostituirà la vecchia Gazzetta del Lavoratore. Il 9 gennaio del 1920 esce in fatti il primo numero del nuovo giornale, e nel maggio seguente arriva dalla Svizzera tedesca Fridolino Oeschger, stipendiato dalla centrale di San Gallo, che diventa segretario sindacale a tempo pieno; il centro del movimento diventa Bellinzona. Viene aperto anche un segretariato dei sindacati femminili, guidato dalla signorina Aurelia Cappello; le lavoratrici costituiscono subito infatti una buona parte del totale degli aderenti.
I difficili primi anni del nuovo sindacato cristiano-sociale
Il nuovo segretario cantonale ha così il vantaggio di avere dei buoni legami con la Svizzera interna, ma deve imparare a conoscere la realtà ticinese. Le ambizioni del nuovo sindacato sono considerevoli: costituire una precisa presenza nel campo sociale ed economico nel cantone a partire dai principi cristiano-sociali (solidarietà, giustizia, ricerca del bene comune, sussidiarietà, volontà di dialogo con il mondo padronale), mettendosi in concorrenza con le più organizzate ed anzi egemoni federazioni della Camera del lavoro.
Il contrasto e l’antagonismo con quest’ultima diventano subito molto forti. I socialisti accusano l’OCST di dividere il fronte operaio e di essere un sindacato “morbido”, troppo filo-padronale (i cristiano-sociali all’inizio sono molto prudenti nelle agitazioni e nella partecipazione agli scioperi). I dirigenti cristiano-sociali giustificano la loro presenza con l’impossibilità per i lavoratori cristiani, e anche per molti altri, di far parte di organizzazioni solo apparentemente ”neutre”, ma di fatto guidate spesso da marxisti notoriamente atei e anticlericali; non è una divisione dei lavoratori, è un nuovo fronte operaio. Il vescovo mons. Aurelio Bacciarini appoggia subito il sindacato, all’interno del suo progetto di ricostituzione dell’associazionismo cattolico, ma parte del mondo cattolico vi resta piuttosto indifferente e una buona parte dello stesso padronato cattolico vi è ostile.
Il dopoguerra è un periodo socialmente delicato e il padronato non intende certo fare troppo concessioni al movimento operaio, che deve lottare contro le paghe basse, la durata del lavoro spesso ancora di 54 ore settimanali, le scarse assicurazioni sociali, la resistenza ai contratti collettivi. L’inizio è abbastanza promettente: conferenze, propaganda in varie fabbriche, alcuni movimenti rivendicativi, un congresso operaio a Balerna e uno agrario a Bellinzona, una “cucina operaia” alla fabbrica Tobler a Lugano-Besso (che darà però molti problemi al sindacato), ecc.
Alla fine del 1920 l’OCST conta 621 iscritti (più 424 iscritti alle LOC; la Cassa Malati Cristiano-sociale conta circa 900 membri), di fronte ai circa 4000 della CdL. Il centro del movimento passa in seguito da Bellinzona a Lugano, dove il segretariato prende sede per poco in via Nassa e in seguito in via Cattedrale. Purtroppo nel 1921 - 22 interviene una grave crisi economica, che colpisce molto i sindacati. I cristiano-sociali, che non sono appoggiati dal Partito conservatore al governo con i socialisti, non riescono a farsi concedere un sussidio statale, si trovano in grandi ristrettezze finanziarie e devono far fronte anche ad una crisi dirigenziale interna: il segretario cantonale Fridolino Oschger dimissiona nel 1924 ed è sostituito da Pio Meyer l’anno seguente. Così per tutti gli anni Venti l’OCST deve ripiegarsi in un’azione mutualistica (ufficio di collocamento, Cassa malati, Cassa di deposito, smercio di prodotti agricoli, ecc.).
Le LOC, che a partire dalla metà del decennio cambiano il nome in Leghe Cattoliche dei Lavoratori (LCL), mantengono le loro attività cooperativo-assistenziali. Nel 1927 Il Lavoro deve inoltre cessare la sua pubblicazione per dare spazio al nuovo Giornale del Popolo; le poche attività dei cristiano-sociali sono così riportate dal giornale cattolico La Famiglia. Don Alfredo Leber, in piena crisi del sindacato, nel settembre 1927 è nominato assistente ecclesiastico del movimento. Si cerca di sopravvivere e di mantenere l’ideale e una piccola presenza, in attesa di tempi migliori. Questi ultimi verranno a partire dal 1929, con la nomina del nuovo segretario cantonale nella persona del giovane don Luigi Del-Pietro (1906-1977); inizierà davvero un’”altra storia”, il vero sviluppo dell’OCST.
Primi responsabili e collaboratori dell’OCST e del suo giornale
I sacerdoti don Carlo Roggero, don Francesco Alberti (direttore de Il Lavoro nel 1920), don Pietro Berla (direttore del giornale dal 1921 al 26, don Giovanni Genucchi, don Giovanni Snider. Fra i primi responsabili da nominare Gastone Bernasconi , presidente del comitato cantonale (1922-29), Augusto Banfi (segretario), Enrico Gozzer e Battista Foletti (cassieri), Francesco Masina, Nicola Locarnini (presidente nel 1920), Plinio Vassalli, Mansueto Pometta (presidente nel 1921), Antonio Egger, Michele Grossi. Fra le donne da ricordare almeno Aurelia Cappello e Adele Sottocasa, che dirigono i sindacati femminili a Lugano e la maestra Rita Poncini. Infine bisogna tenere presente anche i dirigenti delle LOC (Adolfo Janner, Francesco Mismirigo, Giuseppe Fantoni, G.B.Bondietti, ecc.) che affiancano ancora per vari anni quelli del sindacato, spesso con ruoli direttivi in entrambe le associazioni.
A cura di: Alberto Gandolla
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